lunedì 20 giugno 2011

Teppisti cromatici/5: Il lido spaccatorre

"e allora invece della lotta politica, la coscienza di classe, tutte 'e manifestazioni e ste fessarie, bisognerebbe ricordare alla gente cos'è la bellezza, aiutarla a riconoscerla, a difenderla. è importante la bellezza: da quella scende giù tutto il resto" (i 100 passi)

Personalissima rassegna della piccola bottega degli orrori stilistici salentini: colori incongrui, scelte infelici o semplici pugni nell'occhio che gonfiano di pinnacoli moreschi e sciabolate cromatiche il volto di una terra perfetta nella sua semplicità.

Un'immagine vale più di mille parole, si dice. E' struggente l'immagine del blu del mare dello jonio che fa rima con quel cielo che gronda calura che i salentini conoscono bene. Anzi no: sarebbe struggente, con la torre d'avvistamento calcinata dal sole che svetta tra il verdeamaro della macchia mediterranea sulla lingua di terra di Torre Lapillo. Skyline non più struggente, ma distrutto dal lido balneare che all'improvviso gli è cresciuto addosso, tirato su con squillanti travi bianche e insolenti teli arancio.


Intendiamoci: i lidi balneari sono l'ultimo dei problemi di Torre Lapillo e Porto Cesareo, due marine devastate dall'abusivismo che negli anni '70 e '80 ha ingoiato dune, divorato campagne, risucchiato pinete per far posto a una distesa di cubicoli di cemento. Seconde case tricamere e servizi o alveari turistici dove inzeppare i vacanzieri, come lo scheletro dell'albergo costruito a 20 metri dal mare sequestrato dalla Finanza nel 2009 e restituito ai proprietari dal Tar l'anno dopo.


No, non è il lido spaccatorre segnalato da Gianfranco Budano il problema di quel grumo di abusivismo e arroganza che si è mangiato una delle coste più belle del Salento. Ma forse non concedere quella concessione balneare e lasciare quegli scogli sospesi tra il blu del mare e la rima del cielo a chi è capace di avventurarcisi, avrebbe conservato un'ultima immagine struggente in un paesaggio troppo devastato.

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sabato 11 giugno 2011

Legittime provocazioni

Ieri ho fatto un esperimento. Ho scritto sul mio stato di facebook una provocazione e poi una cosa in cui - viceversa - credo profondamente. La provocazione era questa:
tentato dal non votare al referendum sul legittimo impedimento...
La cosa in cui credo profondamente, invece, l'ho scritta quando mi è stato chiesto il perchè, ed era questa:
perchè mi sono stancato della politica ossessionata dalla giustizia... e vorrei segnalare che nucleare e acqua sono questioni molto più importanti di cui si parla solo negli spazi liberi lasciati da avvocati e pm per riprendere fiato
Apriti cielo: alcuni dei miei amici virtuali più bravi e preparati sono insorti. Un bravo giornalista, un bravo professore, un bravo magistrato, un bravo ambientalista, un bravo osservatore, un bravo giurista hanno articolato il perchè, a loro avviso, stessi sbagliando. Tra commenti e risposte ne è uscito un dibattito così interessante che mi pare un peccato lasciarlo lì a vegetare su uno status privato. E allora eccolo qui:

Il bravo giornalista, Emilio Mola, ha scritto:
ragà è la giustizia che va al primo posto. E' la (in)giustizia il cancro di questo paese. Se la giustizia funzionasse avremmo meno mafia (che tra fatturato e danni all'imprenditoria si fuma ogni anno centinaia di miliardi di euro al sud), meno corruzione (altri 120miliardi), meno evasione (altri centinaia di miliardi) e così via. Tutti soldi che resterebbero nelle nostre tasche e in quelle dello Stato. Quindi meno tasse, meno debito, e così via all'infinito.
E quando gli ho chiesto se è di questa giustizia che parla la politica o il referendum, la sua risposta è stata questa:
certo che sì. Fino a che avremo politici criminali (casellario alla mano) interessati loro per primi a sfasciare la macchina della giustizia per evitarsi la galera, resterà tutto così com'è. Il legittimo impedimento è l'ennesima mossa della politica in tal senso. Quindi è da qui che bisogna partire. Dobbiamo smetterla con l'idea che in Italia diventare un politico significa diventare un semidio
A lui la mia risposta è stata questa:
purtroppo del funzionamento vero della giustizia in italia non mi sembra che freghi granchè a nessuno. spiego cosa intendo per funzionamento vero.
primo: la criminalizzazione della marginalità sociale, che ha farcito fino a farle scoppiare le nostre carceri di disgraziati (immigrati e tossici, per lo più) che sono semplicemente le persone per le quali la società non ha trovato alternative a priori alla criminalità comune nè percorsi di reinserimento a posteriori nel contesto legale (nel nostro interesse, prima ancora che nel loro). si preferisce dare una risposta semplice e immediata alla domanda sociale di sicurezza (e se poi questa domanda sia reale o indotta è un altro discorso): creare discariche nel quale conferire la monnezza sociale. anche in questo caso, io sono per il riciclo.
secondo: il rapporto tra magistratura e polizia giudiziaria. sembra un dettaglio, ma è un nesso essenziale della legalità e anche della democrazia. la riforma della giustizia presentata da questo governo slega i due aspetti e la conseguenza è, a mio avviso, molto più pericolosa di cento legittimi impedimenti. oggi i giudici sono i garanti del rispetto delle regole nelle operazioni delle forze dell'ordine, domani questo controllo preventivo andrebbe a rompersi. qualcuno si ricorda ancora quel buco nello stato di diritto - al di fuori di qualsiasi controllo preventivo di legalità - che prese i nomi di diaz e bolzaneto a genova? ecco, appunto.
terzo: il costo delle liti temerarie e la velocità dei processi. anche qui, sembra un dettaglio ma non lo è. oggi chiunque si senta danneggiato da una decisione dello stato (ma anche da un articolo di giornale, ad esempio) fa causa. tanto non costa niente e anche se il ricorso è strampalato e evidentemente infondato, avrà ottenuto quanto meno di rallentare l'esecuzione della decisione (o magari di intimidire l'autore dell'articolo). se invece ci fosse una multa salata che sanziona la lite temeraria, che dica che aver fatto ricorso è un tranello bello e buono alla giustizia effettiva, le opere pubbliche non sarebbero decise dai tribunali (vedi 275) o non languirebbero nelle aule di udienza (vedi fse) e non ci sarebbe l'eventualità di un'intimidazione a mezzo querela (o ancor di più, a mezzo risarcimento danni) verso articoli scomodi.
e ne avrei di quarti e di quinti e di dodicesimi e di cinquantasettesimi, ma per ora basta così.
Il bravo giudice, Pierpaolo Montinaro, ha scritto:
mi permetto di intervenire su questa tua poco convincente affermazione (forse più avventata che altro) x farti osservare che di acqua e nucleare si sia parlato di più che del legittimo impedimento e che l' idea complessiva dei referendum è la riaffermazione del concetto di legalità. Ora so che non sarai mai d' accordo con me x il tuo spirito di contraddizione e di non accettazione del dissenso. Perciò ti anticipo che non interverrò più.
E la risposta, in questo caso, suonava così:
hai ragione quando definisci avventata la mia affermazione. infatti era - lo ripeto - una provocazione. però di legittimo impedimento (almeno a livello di slogan) avevamo tutti sentito parlare già nei mesi scorsi, se non altro per le polemiche furiose e le accuse incrociate che erano volate come al solito nel dibattito politico e in quello mediatico che ne viene trainato. io invece non ho visto nei tg la notizia della legge che obbliga a privatizzare la gestione dell'acqua. di nucleare si è parlato un po' di più, è vero, ma sempre infinitamente meno di qualunque lodo, leggina, normetta che riguarda i procedimenti giudiziari di berlusconi.
Il bravo professore, Stefano Cristante, ha scritto:
Ripristinare l'eccezionalità del legittimo impedimento rappresenta una restituzione simbolica di grande eguaglianza, condizione della quale abbiamo estremamente bisogno tutti. Stiamo abituandoci a un mondo in cui non crescono le diversità, ma le disparità più inverosimili. Occorre ristabilire un equilibrio tra i cittadini per rifondare una comunità consapevole. Soprattutto in Italia
Il bravo osservatore, Cesà Saracino, invece ha scritto:
Andare a votare contro il legittimo impedimendo a mio parere è lanciare un segnale forte nei confronti dei privilegi della politica...In realtà se pur un quesito che sicuramente non risolverà granchè, dato che non sarà impedendo al premier di cercare una scorciatoia per non comparire in udienza che si risolve il problema, purtroppo.. è comunque un picccolo passo! sarei il primo, se l'accesso alla carriera politica fosse vincolato al rispetto di requisiti ben precisi, ad ipotizzare addirittura un istituto vicino all'immunità parlamentare...tale da allontanare ogni sospetto dalla fantastica invenzione della cosiddetta magistratura politicizzata. Ma verrà mai impedito a condannati e indagati di candidarsi? La vedo veramente difficile....Dunque procediamo in questo senso ed andiamo a votare.
Erano due punti di vista tutto sommato simili, ecco perchè la risposta è stata ad entrambi:
in realtà la legge su cui siamo chiamati ad esprimerci domani non lede il principio di eguaglianza tra i cittadini. e spiego perchè. quando venne scritta e approvata, nel marzo 2010, effettivamente la legge sul legittimo impedimento stabiliva che berlusconi o i suoi ministri potevano usufruire del rinvio obbligatorio delle udienze che li riguardavano in caso di (autocertificati) impegni istituzionali. in pratica l'imputato decideva quando (e - di fatto - se) celebrare il processo e il giudice ubbidiva. detto così, ricorda quella canzone di de andrè in cui un magistrato si rivolge all'imputato con queste parole: "oggi un giudice come me, lo chiede al potere se può giudicare. tu sei il potere. vuoi essere giudicato? vuoi essere assolto o condannato?". detto così va bene non solo il referendum, ma anche la rivolta civile. il problema è che così non è. nel gennaio scorso la corte costituzionale, interpellata dalla procura di milano, ha riscritto le parti giudicate in contrasto con la costituzione e ha - di fatto - rovesciato
il senso della legge. cioè con la legge su cui dobbiamo esprimerci domani il presidente del consiglio imputato può chiedere il rinvio dell'udienza accampando un legittimo impedimento, ma poi sta al giudice ordinario (cioè alla procura di milano) decidere se quell'impedimento è legittimo o meno e se il rinvio avrà luogo o no. quindi, con la riscrittura da parte della corte costituzionale, il giudice decide e l'imputato obbedisce, nè più nè meno di come succede già oggi: in base al codice penale qualunque imputato può chiedere il rinvio di un'udienza fornendo una motivazione che poi starà al giudice valutare. quindi in questo non c'è disparità tra i politici e i cittadini. allora perchè il referendum? perchè le firme sono state raccolte prima che la corte costituzionale si esprimesse, rovesciando di fatto la legge, e la corte di cassazione ha comunque dichiarato ammissibile il quesito che mira a cancellare una norma che - con queste premesse - è inutile, ma non dannosa. poi l'italia dei valori, che ha raccolto le firme, dice chiaramente (basta vedere il sito) che questo è un referendum su berlusconi. e questa è una legittima interpretazione politica, ci mancherebbe! ma è esattamente l'avvitamento su sè stesso del dibattito pubblico che mi ha profondamente stancato.
Infine il bravo ambientalista, Gianni Pède, ha scritto:
... fatte na doccia !
E quando il bravo osservatore ha aggiunto un altro parere, cioè questo:
...il discorso sulla politica ossessionata dalla giustizia che toglie spazio ai veri problemi del nostro paese, fila dritto....Ma quanto è intrecciata la matassa in questione? Sono i media e la politica che parlano troppo di giustizialismo... togliendo spazio al resto o quest'ultimi ne parlano perchè c'è un premier a tanti altri che usano la politica per pararsi il sederino? Dunque...è la giustizia politicizzata che toglie spazio ad altro o la classe politica che ha trovato una scorciatoia non per affrontare i problemi seri del paese ma per altro? Non pensate che di questa giustizia politicizzata se ne faccia un uso anche favorevole? Un Governo fermo da tre anni, e non certo per causa dei giudici, ha interesse a far parlare i media del suo operato o di un male insormontabile che paralizza le istituzioni? Non facciamoci prendere in giro ragazzi!!
La risposta del bravo ambientalista è stata questa:
... non fila mank'ar'k... è una classica giaculatoria dei media berlusconiani ... strano sfugga ai lupi cose de sto tipo ... cmq ... tant auguri !
E la mia replica quest'altra:
i media berlusconiani non dicono che la politica è ossessionata dalla giustizia, bensì che la giustizia è ossessionata dalla politica e più precisamente i giudici di milano sono ossessionati da berlusconi. ripeto per l'ennesima volta: la mia era una provocazione. ma rimango convinto che aver spostato tutto il peso del dibattito pubblico sulle bilance della giustizia abbia fatto molto comodo proprio a berlusconi, che di questo tema ha fatto il suo cavallo di battaglia e ci ha corso sopra per quasi vent'anni, prima di ritrovarsi azzoppato a milano.
In capo a tutto avevo posto una premessa, che articolava meglio quell'osservazione in cui credo profondamente articolata all'inizio; e la premessa era questa:
premetto: la mia era una provocazione. che però segnala un fatto che a me sembra oggettivo: la politica è lo strumento che la società ha inventato per decidere come amministrare i beni comuni e per giustifica...re in nome di quali idee e quali visioni del mondo si compiono quelle scelte. per cui il primo compito della politica è occuparsi di cose, cose concrete e assumere delle decisioni sulla gestione dei beni comuni. in italia, mi pare, di queste cose non si parla più: il dibattito pubblico è ipertroficamente avvitato in una discussione tutta politicistica sulla figura di berlusconi e sui suoi procedimenti giudiziari: il centrodestra per difenderlo, il centrosinistra per attaccarlo. questo è il dibattito pubblico che ci propinano, mentre di cose concrete non si parla più; e ci propinano tutti, da minzolini a santoro, da posizioni opposte. tranne ovviamente le solite lodevoli eccezioni (report e presa diretta, fondamentalmente) alle quali sembra che si stia aggiungendo (e subito sottraendo) current tv: in quegli spazi si parla ancora di gestione concreta dei beni comuni (l'acqua, la terra, l'economia, eccetera eccetera eccetera). ma sono nicchie che sfuggono a stento al dibattito politico dominante (e al dibattito mediatico a rimorchio) che è tutto centrato sulla classe politica, più che sulle decisioni collettive da prendere nella gestione dei beni comuni. da qui quella che - ribadisco - era una semplice provocazione che però segnala una stanchezza rispetto a un livello pubblico del dibattito che sembra la favola del fagiolo magico: una pianta che si sviluppa così ipertroficamente da raggiungere il cielo.
Ma l'osservazione a mio avviso più ficcante l'ha fatta il bravo giurista, Marco Nicolì: lui si troverà a votare a Washington, essendo impegnato a lavorare nella World Bank. E la sua osservazione, disarmante nella sua semplicità e nettezza, è stata questa.
una volta un caro amico disse "non si vota per dare segnali, ma con la prospettiva che quello per cui si vota venga approvato"... d'accordo che l'acqua e il nucleare sono piu' importanti, ma finche' abbiamo criminali al governo cosa credi sara' privilegiato, la tua acqua o i loro interessi?
Qui non ho risposta: al di là delle provocazioni, mi sembra un ottimo motivo per andare a votare.

lunedì 6 giugno 2011

L'università, una grande famiglia


C'è un virus strisciante che infetta l'università italiana. E dal quale non è immune l'Università del Salento: si chiama parentopoli. Uno scandalo sordo, perché se qualunque sperduto municipio diventasse il nido di covate di figli e nipoti come accade negli atenei, il giorno dopo l'opposizione al sindaco farebbe fuoco e fiamme, gli esposti in procura fiorirebbero come i ciliegi in primavera e non si conterebbero i blitz di finanza, carabinieri e polizia. Strisciante, quel virus in università, perché nell'amministrazione universitaria non c'è opposizione, sulle scelte interne ad un'istituzione decisiva per il paese non c'è dibattito pubblico e la gestione è (giustamente) consociativa.

Le obiezioni sono note: chi è un bravo professionista non va penalizzato solo perché figlio di un altro bravo professionista; chi assume un ruolo in ateneo lo fa tramite di un concorso pubblico e a un esame dei titoli e delle pubblicazioni; l'università non è diversa dalla società, nella quale studi professionali e imprese private passano di padre in figlio in virtù di un legame di sangue, non di un primato conquistato sul campo.

Facile sarebbe smontare quelle obiezioni: di bravi professionisti ce ne sono tanti, tantissimi, strano che la rosa si restringa improvvisamente quando si tratta di concorsi universitari; studi professionali e aziende private sono sul mercato e pagano le scelte infelici (leggi: il parente incompetente) perdendo clienti e fatturato; in università non accade la stessa cosa e le scelte infelici si fanno a spese altrui (leggi: contribuenti e studenti). Ma soprattutto, chiunque conosca le dinamiche universitarie sa che quei concorsi universitari sono solo formalmente aperti a qualsiasi risultato: in realtà sono cooptazioni di un ricercatore da parte di un gruppo scientifico o di un singolo docente. Prima si individua il vincitore, poi gli si cuciono addosso criteri su misura.

Ma smontare quelle obiezioni è ancora più facile di così. Basta che ciascuno di noi frughi nella sua memoria e si chieda quante straordinarie teste sono volate via dal Salento impoverendoci tutti. Io l'ho fatto e di cervelli straordinari e di facce che li nascondevano me ne sono venuti in mente a pacchi. Cito solo tre storie, diversissime tra loro.

Giorgio, 36 anni, rampollo del più importante istituto di credito salentino (e non solo). Aveva l'impero locale su un piatto d'argento, ha preferito rischiare in proprio e dopo la laurea in Bocconi ha voluto perfezionarsi a Princeton e infine rimanere negli Stati Uniti per insegnare nella Northwestern University di Chicago.

Andrea, 32 anni, figlio di un dipendente delle Ferrovie dello Stato. Lui, sul piatto d'argento aveva solo i biglietti gratuiti del treno; gli sono serviti: ha scelto di studiare in un'università cattolica del nord Italia non per intima vocazione ma per una congrua borsa di studio. Oggi è uno dei pochi italiani che lavorano a Bruxelles per la Commissione Europea.

Antonio, 22 anni, figlio di un ex consigliere regionale. È più giovane degli altri due, ma promette bene: non solo come blogger (i suoi bellissimi post potete leggerli qui) ma anche come politico. Ha iniziato a far palestra nel luogo in cui si alleva la classe dirigente italiana, i cui giovani virgulti l'hanno stravotato come rappresentante studentesco nel cda della Bocconi, retto da Mario Monti.

Ogni exploit personale di questi ragazzi, lontano dalla terra in cui sono nati, è un successo per loro e un fallimento per noi. Intendiamoci: svuotarsi della retorica del Salento d'amare per riempirsi delle idee che circolano nel mondo fa solo bene. Ma ogni testa che non torna a casa piena di queste idee si traduce in una nazione e in un provincia un po' più asfittiche e un po' più ripiegate su sé stesse. Così torniamo a quel virus che infetta l'università italiana e anche quella del Salento. Qualche conto, qualche nome e qualche albero genealogico provò a farlo l'Indiano due anni e mezzo fa, quando il programma di TeleRama era ancora acerbo ma già si divertiva a sfrucugliare nelle magagne del Salento.



Dopo la pubblicazione on line di questo pezzo risalente al dicembre 2008, la professoressa Cecilia Santoro (citata per il marito e i figli che lavoravano in ateneo) ha aggiornato le informazioni. E ha implicitamente allungato la lista delle storie con quella di Daniele, 35 anni, suo figlio. Sei anni di ricerca precaria nella facoltà salentina di Ingegneria e una prospettiva da un lungo, lunghissimo percorso da travet universitario. Meglio far la valigia e portare il suo cervello al servizio del Barcelona Supercomputing Center.

Che c'entrano tutte queste storie con il virus che infetta l'università italiana e anche quella del Salento? C'entrano.
Perché a quell'ateneo questo territorio ha affidato una funzione: quella di selezionare la classe dirigente e arricchire di cervelli e idee la ricerca, l'economia, le professioni, la cultura.
E ogni parente incompetente - o semplicemente meno bravo - che viene assunto in università toglie il posto a qualcuno che troverà di meglio altrove, lontano dal Salento e dall'Italia.
Per fortuna sua. E per sfortuna nostra.


giovedì 2 giugno 2011

Teppisti cromatici/4: Il Convento delle meraviglie

"e allora invece della lotta politica, la coscienza di classe, tutte 'e manifestazioni e ste fessarie, bisognerebbe ricordare alla gente cos'è la bellezza, aiutarla a riconoscerla, a difenderla. è importante la bellezza: da quella scende giù tutto il resto" (i 100 passi)

Personalissima rassegna della piccola bottega degli orrori stilistici salentini: colori incongrui, scelte infelici o semplici pugni nell'occhio che gonfiano di pinnacoli moreschi e sciabolate cromatiche il volto di una terra perfetta nella sua semplicità.


Quarto teppista: Il convento delle meraviglie

Il resort si trova al centro perfetto della provincia di Lecce, sulla Galatina-Collepasso, formalmente in agro di Cutrofiano, praticamente a due passi da Noha e Aradeo. Fino a qualche anno fa passando per quelle campagne vedevi un edificio antico, munito di una cappella privata e di una modesta torretta in avanscoperta sulla strada. Ma il rito del "battezzo" non perdona, i freschi sposi hanno fame di location inedite dove servire gamberoni alla griglia, i cresimandi devono pur fare accomodare i parenti tra stucchi e latticini. Senza contare la convegnistica di settore (enogastronomico, ovviamente) e le cene elettorali, indispensabile corredo di un'elezione sicura. Così l'antico edificio viene risucchiato nel business delle cerimonie.

La struttura era, in origine, un convento e luogo di preghiera delle suore di S.S. Maria di Leuca e questa atmosfera si percepisce ancora per la presenza di una cappella votiva dedicata alla Madonna, per la pace che si respira nella tranquillità del parco tra piscine e fontane, e per il profumo inebriante delle zagare e delle essenze mediterranee.
(dal sito www.sangiorgioresort.it)
L'edificio antico era - lo giuro - bello: un restauro accurato e rispettoso l'avrebbe reso bellissimo. Ma perché accontentarsi? Ed ecco sorgere pinnacoli moreschi e merli di pietra, crescere torrette bicolori sugli spigoli, spuntare palme caraibiche sul prato all'inglese. Le palme non fanno ombra? Niente paura, una tenda ipermoderna a spicchio d'arancia ombreggia le finestre, almeno quelle che non sono state trasformate in ogive gotiche sorrette da colonnine giallorosse. A salutare gli (incauti?) automobilisti un frontone con decorazioni dal vago sapore maya e due snelli corni di pietra.


Uno dice: ce n'è abbastanza. E invece no: mancava ancora quel tocco unico e inimitabile, quel quid che renda l'idea del lusso. E cosa c'è di più lussuoso, agli occhi dei cresimandi di Cutrofiano e dei nubendi di Aradeo, dei convegnisti di Collepasso e degli elettori di Galatina, di un bel vetratone liberty? Magari con un rosone multicolor che ricordi la chiesa appena lasciata e un contorno di stelline in ferro battuto e leziosi riccioli metallici?


A questo punto un dubbio s'insinua: non sarà, il convento delle meraviglie, come certe chiese barocche? Tanto abbacinante fuori quanto spoglio dentro? Anche a questo hanno pensato i cerimonieri del terzo millennio, che nel loro sito assicurano che l'interno rivaleggia con l'esterno per quantità e qualità di lusso:



Una sala ricevimenti con stucchi, argenti, arazzi, specchi e stupende decorazioni contribuisce a rendere indimenticabile ed unico qualunque evento.
Povero San Giorgio, si starà rivoltando nella tomba: tanta fatica per uccidere il drago per poi ricevere come ricompensa l'intitolazione di una sala ricevimenti. Chissà se, a saperlo prima, lo rifarebbe ancora.



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